Volontariato, Industria della carità e com-munitas

di Emiliano Brajato, Consigliere e Volontario

VolontariIl termine volontariato ci rimanda al latino voluntas che nei dizionari suona prima di tutto comeLa facoltà e la capacità di volere, di scegliere e realizzare un comportamento idoneo al raggiungimento di fini determinati”. Così traduce il dizionario Treccani nella sua prima voce di spiegazione. Si tratterebbe dunque di volere qualcosa in vista di fini distinti da ciò che si vuole. Qui nasce uno dei grandi fra-intendimenti del volontariato come generazione di quella che in un recentissimo ed interessante studio Valentina Furlanetto chiama l’industria della carità. (V. FURLANETTO, L’industria della carità. Da storie e testimonianze inedite il volto nascosto della beneficenza, Chiarelettere 2013). Vorrei delineare qui alcune riflessioni che partono proprio dalla riflessione della Furlanetto per proporre una prospettiva diversa, percorsa dalla Fondazione Fratelli Dimenticati, che da oltre venticinque anni tenta di percorrere un volontariato che guarda al messaggio evangelico del dono e della gratuità, di una pratica che costituisce il cum della com-munitas , il dono stesso che sta alla base del costituirsi dei legami tra gli uomini, proponendo così un’immagine di volontariato che è anche via per ripensare una diversa forma della comunità nella terra degli uomini.
La serrata analisi della Furlanetto analizza il circo umanitario a cui sono esposti poveri e disperati, mostrando come tanto di quello che noi chiamiamo volontariato e no-profit, proprio utilizzando gli strumenti del profit e del mercato, ne venga poi inglobato. Specializzazione e divisione del lavoro, poveri da catalogo, perché insomma…si compra l’immagine che ci fa sentire bene. Equo e solidale: equo per chi? Solidale con chi? “basta con la carità, c’è bisogno della giustizia”, scrive Alex Zanotelli nell’Introduzione “la liberazione viene sempre dal basso, dai poveri, mai dai ricchi”.
Qual è allora il senso del volontariato dentro un sistema dominante di profit, marketing, business? Il volontariato è rivoluzionario proprio se esce dai meccanismi di profit-no-profit, una strana coppia che, sostiene la Furlanetto, mostra che “le ong si comportano tra loro come attori economici concorrenti, con i necessari compromessi del caso, con una maggiore attenzione al marketing che si traduce anche, ma non solo, in un aumento dei soldi destinati alla promozione, alle campagne stampa e alla raccolta fondi. Ma le ong hanno anche scoperto il mercato, attivando nuove modalità d’azione e vere e proprie partnership con le aziende. (…) le aziende hanno scoperto che con la beneficenza possono rifarsi una verginità e guadagnare rispetto e credibilità presso i consumatori”. Questo non è volontariato. Perché il suo fine è il profitto, e la situazione di chi sta peggio diventa un mezzo. Il medico che somministra farmaci avendo in vista il guadagno lo si chiami commerciante e non medico, perché la medicina, il cui fine è il ripristino della salute, si è snaturata.
La Fondazione Fratelli Dimenticati, che ho incontrato la prima volta nel 2006, percorre una strada diversa, propone la via del volontariato non come un mezzo per un fine diverso dal messaggio evangelico a cui si richiama. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, ci ricorda un versetto evangelico, e allora il volontariato è quella via che toglie l’uomo dal tempo del profitto e immette nel tempo della comunità. Il tempo del volontariato è tempo rivoluzionario percVolontariohé ci sottrae dalla tirannia dell’orologio-a-tempo-denaro, a cui siamo sottoposti costantemente, basti pensare a come il mercato si è dicorato il culto dei santi moltiplicando le immagini di Padre Pio, della Madonna e di Papa Francesco. No, il volontariato non è sottomissione del proprio corpo al tempo del profitto, ma è via nella-e-verso la condivisione con gli altri, altri volontari e alti popoli, altri fratelli, che noi pensavamo dimenticati. Dimenticati vicini, in coloro che incontriamo nelle vide del Volontariato, e dimenticati lontani, che nell’incontro diventano fratelli. Proprio qui sta a mio avviso la grande portata del volontariato: nel tempo donato siamo rivoluzionari contro la tirannia del mercato, nel tempo donato incontriamo gli altri nella loro presenza. Fratelli Dimenticati opera nella condivisione in India, Nepal, centro America, Haiti….e ci invita ad avere il coraggio di donare il nostro tempo, perché non siamo uomini ad una dimensione, come ben aveva sottolineato denunciando l’alienazione dell’homo economicus Marcuse in una famosa opera del secolo scorso, siamo uomini che possono riscoprire la loro umanità a partire da un modo diverso di pensare a se stessi, di sentirci pacificati con qualche sms solidale o qualche donazione in denaro. No, il volontariato chiama in causa il nostro tempo ed il nostro corpo, perché diventino pane condiviso. Solo in tale prospettiva credo sia lecito pensare ad una possibile rinascita della comunità umana, perché come ben sottolinea il filosofo Roberto Esposito il termine communitas, trova una delle sue radici in  cum-munus: cum (assieme, con)  e il munus rimanda a un dovere, un debito, un dono-da-dare. I soggetti della comunità sono dunque uniti da un obbligo che li rende non completamente padroni di se stessi: perché ognuno è e dipende dal dono dell’altro. In tale mutua donazione si costituisce la communitas. Il volontariato ci introduce proprio in tale dimensione, perché è la rivoluzione del tempo donato e gratuito contro il tempo mercificato e del profitto.